TARA JANE O'NEIL
Tara Jane O'Neil e' una delle massime cantautrici della fine del secolo.
Dopo aver esordito sulla scena indie come bassista dei Rodan, e' passata nei Sonora Pine per giungere poi ad una doppia carriera: artista neo-folk con i Retsin (duo fondato con la compagna Cynthia Nelson), e singer-songwriter d'avanguardia nei dischi solisti, che hanno esportato lo stile chitarristico ripetitivo ed ipnotico del post-rock americano nel corpo del cantautorato alla Joni Mitchell.
Polistrumentista e cantante raffinata, la O'Neil ha trovato un equilibrio tra la canzone da focolare e l'esperimento d'avanguardia, ponendosi idealmente di fianco a David Grubbs. Il suo suono si sta evolvendo verso un flusso di coscienza languido ed in trance, creato dall'intrecciarsi e dal sovrapporsi degli strumenti, ed e' tra le piu' talentuose vie d'uscita dall'impasse del post-rock di fine anni '90.
Le e' mancato finora il tempo o la concentrazione per realizzare un vero capolavoro, disperdendo su una miriade di uscite.
Articolo & Intervista 2001 su Tara Jane O'Neil
TARA JANE O'NEIL - In The Sun Lines (Quarterstick, 2001)
Disco immediato quanto sottilmente elaborato, "In The Sun
Lines" segna definitivamente l'uscita di Tara Jane O'Neil dalla categoria delle
pure cantautrici.
Mentre i Retsin si concentrano sul songwriting per se, i lavori solisti della
O'Neil si propongono piu' come stream of consciousness dell'artista.
Se "In The Sun Lines" fosse firmato da un altro nome e uscisse su un'altra etichetta
se ne farebbero notare la ricchezza sonora, le divagazioni quasi di rumorismo,
il paesaggio di strumenti sfiorati e di microsuoni.
E' un folk mentale, implicito, come se il mixer volesse tradurre in fretta le
sinapsi cerebrali, senza lasciar loro il tempo di prendere una forma definita.
Una musica che vive di scatti nervosi, di rimandi interni troppo veloci per
essere compresi e spiegati dall'orecchio razionale.
Le parti vocali sono distillate con parsimonia, nient'altro
che uno strumento come gli altri. Il canto sale alla ribalta, con una umanita'
alla Robert Wyatt a fare capolino, solo in "High Wire" e "In This Rough", non
a caso i pezzi che piu' ricordano "Peregrine".
Una misura dei progressi della O'Neil (la quale per quel che conta suona quasi
tutti gli strumenti da sola) si ha gia' in "The Winds You Came Here From", il
primo brano del disco, con gli strumenti in rarefazione e la voce tremula a
ricordare certe cose di Lisa Germano.
Il primo vero slancio c'e' pero' con "Your Rats Are" che proietta in una dimensione
aliena e languida, con Dan Littleton degli Ida a doppiare una voce che e' quasi
vagito neonatale. Una canzone che non si dipana, ma si disfa e si adagia nei
riverberi del Rhodes e nello sfiorare metronomico della batteria.
Gli strumenti si accumulano e si sovrappongono in una maniera
che e' debitrice di certo rock degli anni '70, quando non della musica classica.
Non disposti gerarchicamente (batteria, poi basso, poi chitarra, voce sopra
a tutto) ma intrecciati ed equilibrati a creare un insieme che non conosce piu'
le singole individualita' e i singoli timbri. Come i Tortoise, quando erano
ancora un gruppo serio. O come i migliori Rollerball, a tratti.
Basterebbero i primi due pezzi per mostrare la maturita' di questa artista anche
come produttrice. Due brevi strumentali ("All Jewels Small" e "Bowls"), posti
al centro del disco, servono giusto a confermarlo.
Una manciata di minuti dopo, il disco si conclude con un altro picco memorabile.
"This Morning" manda in loop un riff di chitarra folk e su quell'effetto ipnotico
costruisce un molle incedere in trance e "New Harm" adotta la stessa tecnica
per costruire un brano di nuovo solo strumentale. Entrambi i pezzi devono pochissimo
al rock: non mi stupirei se da grande la O'Neil passasse alla musica d'avanguardia.
"A Noise In The Head" chiude il disco in puro stile John Fahey.
Con "In The Sun Lines" siamo in una terra di nessuno che confina con mondi diversissimi e inaspettati. Diane Darby e Roy Montgomery, il Van Morrison di "Astral Weeks" e i vecchi dischi di new age della Wyndham Hill, i quadretti faheyani di David Grubbs e i Volebeats.
7/10
La O'Neil e Littleton sono apparsi spesso sulle pagine di
Rockerilla, l'una sia come meta' dei Retsin che per i suoi dischi solisti, e
l'altro per la sua militanza negli Ida. Questo disco raccoglie una serie di
improvvisazioni del duo, in parte nei pressi di New York in parte nel Kentucky,
ed e' sicuramente una uscita minore nelle rispettive discografie.
I brani sono tutti strumentali, quadretti tra Fahey e Grubbs come gia' la O'Neil
ha inserito qui e la' nei dischi in solo, con l'eccezione di "Ooh La La", delizioso
scherzo a la Gainsbourg cantato in una sorta di simil-francese e suonato in
punta di plettro.
Passaggi carini ma non abbastanza per farci un disco.
5.5/10
TARA JANE O'NEIL - The Joy Of... (Acuarela, 2002)
"The Joy Of..." e' un breve EP che, un anno dopo,
fa da appendice a "In The Sun Lines".
"If Your Youth Is Green" e' un tipico brano alla O'Neil: stridori
spettrali alla Badalamenti all'inizio ed un intreccio chitarristico a seguire
su una cantilena quasi religiosa.
"Ahn Fahr" altro non e' se non la cover di "I'm On Fire"
di Springsteen, recitata con un accento country e con la timidezza di un personaggio
di Tom Waits che la canta nella propria cameretta quando i genitori non sono
a casa (boy, questa si' che e' una cover).
Completano il quadro una versione acustica di "High Wire" (uno dei
suoi brani migliori) e una piu' estesa di "All Jewels".
7/10
Un po' a sorpresa nel 2002 la O'Neil fa uscire anche un
disco intero di materiale nuovo, questa volta per la minuscola label ultrafemminista
Mr. Lady (per indulgere sul pettegolezzo, Tara
Jane e' notoriamente lesbica e sta con l'altra Retsin, Cynthia Nelson).
"TKO" e' sempre meno rock, ed e' sempre piu' musica da camera mascherata
da songwriting. Interamente suonate dalla O'Neil su chitarra, piano, tastiera,
basso, electronics e altro, le composizioni sfumano l'una nell'altra
quasi senza soluzione di continuita', malinconiche e soffuse ("perfette
per Halloween", dice la promozione).
Non c'e' molto di nuovo, tranne forse un po' piu' di elettronica ("I Saw
3", "Choo"), spesso con esiti discutibili. La voce e' sempre
piu' un pretesto, solo un elemento di decorazione superficiale per brani come
"Welcome Back", quasi una piece minimalista propulsa da un
basso profondo e da chitarre da raga indiano.
I brani sono sempre gradevolmente "pieni" di suono, ma che la O'Neil
fosse un asso come produttrice gia' lo sapevamo da "Peregrine". Qualcosa
sembra rubato alle Retsin ("Bye Bye"). "Juno" e "Rocks"
sono esperimenti di ritmi alla Solex veramente pessimi.
"TKO" e' decisamente deludente per chi conosce gli altri dischi della
O'Neil. Un disco di passaggio per un'artista che pubblica troppo. Ci
sarebbe da prenderla a schiaffi per come spreca il suo talento con tutte queste
uscite.
Ma in fondo sta solo cercando di pagare l'affitto a fine mese.
5.5/10
© Lorenzo Casaccia, 2002