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Black Box - Dicembre 2002
by Lorenzo Casaccia ©
Part 1: Dalek
Part 2: Anticon
Part 3: Skiz Fernando
Part 4: the rest
DALEK From Filthy Tongue Of Gods And Griots Ipecac
KID 606 vs DALEK Ruin It EP Tigerbeat6
I Dalek, formati da Dalek (voce
e suoni) e The Oktopus (produzione, suoni) coniugano il rap con il rock industriale
attraverso brani cupi ed ossessivi, secondo forme relativamente inedite per
la musica nera. Questo su Ipecac e' il loro
secondo disco, dopo l'eccellente "Negro, Necro,
Nekros" passato piuttosto inosservato nel 1998.
"From Filthy Tongue..." si apre subito alla grande, sulla feroce "Spiritual
Healing", con basso tellurico e riff distorto e tagliente, e sulla epica
"Speak Volumes", con tastiere spaziali. La musica, spesso prossima
ai Techno Animal, e' un magma oscuro di strumenti suonati live (batteria,
chitarre, sitar) e campionamenti vari, sempre fatti passare attraverso una produzione
impietosa che indugia sul bordo del caos (e, nel caso di "Black Smoke Rises"
ci arriva). Per certi versi questo e' il lavoro di un paio di sperimentatori
elettronici che aggiungono al risultato finale un linea vocale rappata, e non
l'opera di una posse hip hop.
I testi dei Dalek, a volte poco in evidenza dietro a una tale aggressione sonora
sono permeati di intimismo e religiosita' interiore ("source of all life
lies in East".... "pray to ancient ancestors").
Picco del disco: "Forever Close My Eyes", praticamente un pezzo di
heavy-rock indianeggiante. (6.5/10)
E' invece una delusione totale la collaborazione tra il
terrorista sonico per eccellenza, Kid 606, e i Dalek. L'EP "Ruin It"
ci porta qualcosa di buono nel brano iniziale ma tutto il resto e' solo classico
Kid, roba gia' sentita insomma.
L'ultimo brano e' un macello elettro-noise generato dall'hard disk del Kid andato
in crash. Averlo messo in coda a questo EP e' un gesto di somma provocazione
e autoironia che la dice tutta. (5.5/10)
Stefano Bianchi su Blow Up ha indicato in "From
Filthy Tongue Of Gods And Griots" la terza pietra miliare del nuovo hip
hop, accanto all'omonimo dei Clouddead e al secondo dell'Antipop. Pur rispettando
il giudizio di Stefano, personalmente non sono d'accordo. I Dalek eccellono
nella contaminazione dell'hip hop con suoni piu' tipicamente rock, ma non restano
all'altezza di loro stessi nelle liriche, nella dizione, nel flow, che
come minimo e' importante tanto quanto le musiche.
Ovviamente insistere in sede di recensione sull'aspetto testuale/recitativo
del rap significa in sostanza rassegnarsi al fatto che in Italia solo una minoranza
striminzita potra' "capire" la maggioranza dei dischi hip hop. In
quanti riescono a decifrare lo slang o le allusioni di cultura underground tipiche
del genere?
Credo che questa problematica faccia semplicemente parte del gioco. Per questo
continuo a ritenere il disco dei Cannibal Ox almeno all'altezza del terzetto
precedente: non solo per cosa dicevano i testi, ma anche per come
venivano cantati/recitati (vedi Rockerilla di Dicembre 2001 per una analisi
dei testi dei Cannibal Ox). Per la stessa ragione abbiamo dispensato su queste
pagine ampie lodi al recente disco di EL-P (Black Box
Maggio 2002).
Al limite, da questo punto di vista, trovo piu' divertente o ben riuscito un
disco come "The Blueprint" di Jay-Z (2001). Un disco mainstream fin
che si vuole, ma che sfoggia appunto il flow di Jay-Z, un MC stellare
e travolgente che eccelle nel punto-chiave del genere di cui stiamo parlando.
THEMSELVES The No Music Anticon
ALIAS The Thick Side Of The Looking Glass Anticon
Prolissa e logorroica in un'epoca gia' di per se' prolissa e logorroica, la
Anticon assale ancora la pazienza di ascoltatori e recensori con due nuove uscite.
Il dibattito sulla Anticon, sui cLOUDDEAD, su Doseone, eccetera e' aperto, e
non solo in Italia, e si discute se costoro siano dei geni, se stiano veramente
rinnovando l'hip-hop e soprattutto se stiano effettivamente facendo qualcosa
definibile hip-hop.
Ora, da un lato e' un fatto acquisito che chi ha rivoluzionato un genere ha
spesso cambiato la definizione stessa di quel genere. Ma, d'altro canto, esistono
pur sempre delle specie di punti fermi, chiamiamole le regole del gioco, in
base alla quali si puo' giudicare il valore "rivoluzionario" di un
artista. I Velvet, Beefheart, i Suicide, il Pop Group hanno tutti rivoluzionato
il rock ma facevano rock. Beethoven ha rivoluzionato la musica del suo
tempo ma scriveva quartetti e sinfonie seguendo le regole "strutturali"
dell'epoca.
Altrimenti vale veramente tutto e chiunque puo' essere indistintamente un genio
o un deficiente.
Ecco, uno prende in mano un disco come quello dei Themselves, teoricamente
due geni, e si dice che ormai vale tutto.
Chiariamo fin dall'inizio che "The No Music" sta all'hip hop come
un disco di Yngwie Malmsteen sta al rock. Uno sfoggio di bravura tecnica al
microfono dall'inizio alla fine, aggravato dall'ovvia considerazione che nell'hip
hop le liriche dovrebbero giocare - per definizione - una parte centrale (vedi
anche quanto scritto su Dalek).
Quest'ultima affermazione non e' una scusa che mi sto inventando sul momento.
E' una delle ovvie "regole del gioco", e' da sempre uno dei presunti
punti di forza della Anticon ed e' anche uno dei motivi per i quali essa viene
(spesso giustamente) lodata.
"Sono poeti moderni che fanno poesia" si dice. Vero o no, questo non
li giustifica quando fanno uscire dischi raffazzonati come questo, e men che
meno puo' essere una scusa per scambiare un papocchio con una manifestazione
di genio.
Doseone e' sicuramente un MC tecnicamente strepitoso, ma un brano come "Live
Trap", dove viene recitata alla velocita' della luce chissa' che diavolo
di storia, non ha senso (se non forse dal vivo, per divertire i fans). "Good
People Check", con la voce mixata cosi' bassa da essere inintellegibile,
neppure (non vale la scusa della "voce usata semplicemente come uno strumento"
perche' se stiamo a guardare solo la musica il risultato e' di una banalita'
somma). Il resto del disco e' un pasticcio di suoni elettronici (di Jel) senza
ritmo, senza presa, e soprattutto senza inventiva.
Sopra ad essi i famigerati testi di Doseone. Alcune volte sono troppo difficili
da seguire perche' il booklet e' malfatto. Altre volte sono cosi' ermetici che
sembrano piu' che altro il compito a casa di uno studente universitario in un
corso di letteratura. Sorry Dosy, Eliot e' un altra cosa.
Contemporaneamente, un paio di critici hanno decretato che Doseone e' un poeta,
e che come tale va rispettato. Il pubblico adorante, pur non capendo una sola
parola, ci crede e si esaltera' per quella che e' semplicemente una colossale
sega al microfono. (4.5/10)
Abbiamo concluso che se la Anticon sta rivoluzionando l'hip
hop non lo fa certo con il disco di cui sopra. Decisamente meglio e' il Gothic-hop
o Goth rap (come si autodefinisce in un brano) di Alias.
"The Thick Side Of The Looking Glass" comincia scuro nell'introduzione
(con una voce rallentata che sembra quella del nano di Twin Peaks), continua
sulla jungle di "Jovial Costume" e prosegue di nuovo su tinte nere,
spesso decorate da un pianoforte usato con gusto.
I testi sono il cuore del disco, confessioni notturne di Alias che racconta
se stesso e nomina spesso la sua ragazza Jenn. Lo fa senza la spocchia di chi
vuole fare il poeta ma con l'umilta' dell'MC timido ("I ride in the uncertainty
lane constantly biting my nails and glancing at the planes that keep passing
over, longing to be on the inside, splitting a soda with the guy three seats
ahead of me. I didn't say hello? How socially dead of me. How are you? Insert
small talk here...").
Un disco, tra l'altro, splendidamente americano, nello stesso senso sottile
per cui era significativo un film come "American Beauty". Dice in
"Pill Hiding": "One day, you'll be where the Jones' are: a star
with top-choice parking for the month and a coffee mug featuring the children
you've neglected obtaining your position. That's why I keep the pill under my
tongue". Splendida e' anche "Opus Ashamed", duetto con un Doseone
finalmente tenuto a freno.
Dischi come questo "forzano" le hip hop headz ad ascoltare
"meditazioni private", effettuando, nel loro piccolo, un cambio di
prospettiva decisivo, una operazione analoga ad altre gia' verificatesi nella
storia del rock. Ad esempio l'operazione degli Husker Du sull'hardcore, che
prima di Mould e Hart era una musica prevalentemente politica e "pubblica".
Ad esempio l'operazione dei Portishead sul beat hip hop, trasformato
in musica bianca per bianchi lanciando il trip-hop.
E' questo il lato geniale della Anticon, quello che preferiamo. (7/10)
SPECTRE featuring SENSATIONAL Parts Unknown Quatermass
Skiz Fernando e' un personaggio leggendario dell'hip hop,
un trentaquattrenne con alle spalle una storia da film che puo' esistere solo
in America.
Dopo aver studiato giornalismo ad Harvard e alla Columbia School (scusate se
e' poco), ha scritto per un po' su The Source (la rivista #1 di rap negli Stati
Uniti), ha pubblicato "The New Beats", un libro sulla sottocultura
hip-hop (1994) ed ha poi deciso di mandare tutto all'aria fondando una sua etichetta,
la Wordsound, con 1000$ presi a prestito da Bill Laswell.
Se capita, scrive ancora sul New York Times o su Rolling Stone. Per vivere fa
il commesso al supermercato sotto casa. Nel frattempo la Wordsound e' diventata
una etichetta da culto, unendo gente come Prince Paul e Laswell ad artisti dub
e hip hop.
Nel tempo libero Fernando incide e pubblica dischi con una marea di pseudonimi
(Spectre, Slotek, The Ill Saint, The High Priest e altri ancora). Nel tempo
libero del tempo libero ha scritto e diretto un film.
"Parts Unknown" esce per la Quatermass ed e' un
disco prevalentemente strumentale. Fanno eccezione cinque tracce dove rappa
(in modo quantomeno originale) Sensational, il quale a sua volta (nel tempo
libero) e' un autore di fumetti di buon successo.
La musica, in linea con i suoi tre album precedenti, e' un horror-hop
di classe, ispirato tanto da Bill Laswell e Jah Wobble quanto dalle soundtrack
dei thriller. Un po' come se Kruder & Dorfmeister scrivessero una colonna
sonora per Dario Argento.
Il piano dissonante di "Skrippin'", i campioni di funk che entrano
ed escono in "Heist", la sottigliezza del fondale di "Telemundo":
questo e' il tipico disco del critico musicale che fa il musicista. Skiz Fernando
sa troppo bene cosa non si puo' permettere di sbagliare per dribblare la stroncatura
e padroneggia ancora meglio quel misto di eclettismo, citazioni e raffinatezza
che tanto piace ai recensori.
Conoscere a menadito le idee degli altri sicuramente aiuta (e in molti dovrebbero
prendere nota) ma ahime' non basta per realizzare un capolavoro. Non si puo'
bocciare un disco di Skiz Fernando ma l'uomo, per quanto personaggio, non e'
un genio della musica.
Mettete "Parts Unknown" con il volume al massimo all'apice di una
festa e farete un figurone. (6.5/10)
ATMOSPHERE God Loves Ugly Fat Beats
XZIBIT Man vs Machine Epic
JURASSIC 5 Power In Numbers Interscope
DJ EXCALIBAH Extra Yard Big Dada
Chudiamo questo lungo Black Box con quattro dischi molto diversi tra loro.
Le riviste americane hanno parlato abbastanza di Atmosphere, un duo di
Minneapolis dominato dalla personalita' di Slug, uno slacker bianco perdente
e depresso, che sta raccogliendo consensi tra gli under 21 bianchi dei sobborghi
metropolitani, cioe' la stessa fascia di pubblico che ha reso famoso Eminem.
"God Loves Ugly" fa seguito ad un paio di altre uscite meno fortunate e, se
dobbiamo trovare un paragone, possiamo tirare in ballo Aesop Rock (che non a
caso e' nei ringraziamenti insieme a EL-P). Come per Aesop, quello che conta
qui sono le liriche: lamenti di amori andati male, sfighe di ogni tipo, la vita
che ti tira uno schiaffo dietro l'altro, le ragazze che non ti filano, ma alla
fine ci si consola che "God loves ugly".
Ovviamente senza capire i testi si perde buona parte del divertimento ma questo
non toglie che il disco meriti (6.5/10).
Cambiamo tutto. Xzibit e' un pupillo di Dr. Dre che fa soldi a palate
con un gangsta rap di maniera ma dotato di liriche per certi versi impagabili
come "if she can't stick to the script, stick to this dick".
Il disco comincia con "Release Date". E' il giorno dell'uscita dal carcere e,
riacquistata la liberta', Xzibit (o chi per esso) viene immediatamente accolto
da un tipo che gli ha organizzato un party a base di droga e spogliarelliste
da Las Vegas. Stoicamente il nostro eroe passa la mano, e chiede di essere portato
in studio a registrare.
Da li' in poi si passa ai duetti con Dre, Snoop Doggy Dog ed Eminem attraverso
brani dai titoli emblematici come "Choke Me, Spank Me, Pull My Hair" (dove dice
"I don't want to love you, I just want to fuck you") e "Bitch Ass Niggaz".
Lasciando stare le musiche (mediocri), di questo disco vale la pena di leggere
i testi, cosi' volgari da essere a loro modo spassosi, ma siamo ben lontani
da quel maestro dell'insulto e della vanteria che e' Jay-Z. (6/10)
Si cambia ancora genere con i Jurassic 5. Il loro e' un hip-hop molto
West Coast, debitore dei People Under The Stairs (vedi il Black Box di Luglio
2002) e speziato di funky. La loro tipica dizione fluida e rilassata ha
insegnato qualcosa anche al giro Anticon.
L'attitudine hippy-religiosa ha guadagnato loro molto popolarita' nel giro dei
college, con versi come "Small countries exempt from food 'cause leaders
have different views to choose" e via dicendo. Sono tra i pochi a coniugare
il successo mainstream e il respect dei cultori del genere.
(6/10)
Chiudiamo infine con "Extra Yard", compilation della Big Dada remixata da tale DJ Excalibah. Una buona introduzione con tutti i nomi dell'etichetta (Roots Manuva, Gamma, TY) per un suono che mescola levare reggae, chitarrine funky e bassi profondi. (6/10)