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LOU REED

The Raven (7/10)

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The Raven Warner Brothers, 2003

by Lorenzo Casaccia ©

Con "The Raven", Lou Reed insegue il sogno di quasi tutti i musicisti rock di una certa eta': essere considerato, anche solo per un attimo, un compositore serio. Spogliarsi per un secondo della giacca di pelle nera e scambiarla per una copia del "New Yorker". Essere di casa a Soho piuttosto che al Greenwich Village. Diventare oggetto di conversazione nei club di Lower Manhattan, alla Downtown Music Gallery e su The Wire.

Il Reed di questo disco resta newyorkese fino al midollo. Il centro di gravita' di "The Raven" e' ancora il suono celebrato da "New York", il capolavoro del 1991: chitarre graffianti e solide, nessuna concessione ai solismi, e batteria secca, tutta di tamburi e rullante. E' questo il suono di brani come "Edgar Allan Poe" o "A Thousand Departed Friends", collocati in posizione strategica nella tracklist. Intorno a questo baricentro molto e' stato aggiunto: sezioni di fiati, secche ed arcigne come le chitarre di Reed e Rathke, note di pianoforte e l'onnipresente violoncello di Jane Scarpantoni. Una varieta' destinata ad essere una novita' forse disorientante per quelli che erano abituali all'abilita' di Reed nel muoversi all'interno di dischi monolitici.

Ufficialmente le musiche sono al servizio dell'apparato lirico di "The Raven", come noto un concept dedicato ad Edgar Allan Poe scritto su commissione di un teatro tedesco. L'omaggio a Poe e' fonte di una ulteriore iniezione di diversita' nel disco, che comprende la lettura di un paio di testi da parte di Elizabeth Ashley e Amanda Plummer, l'uso di altre voci che sostituiscono ed accompagnano Reed al canto e un paio di ballate quasi sussurrate. Come "New York", "The Raven" e' quindi un disco che di ascolta dall'inizio fino alla fine, una galleria di ambizioni poetico-letterarie che richiedera' una minima padronanza dell'inglese per farsi pienamente apprezzare (ma tutti possono assaporare l'arte anglosassone dell'allitterazione messa splendidamente in mostra da Willem Dafoe nel brano "The Raven ").

Molto si e' anche speculato sulle presunte analogie tra Poe, Reed e le rispettive poetiche. A nostro avviso, molte di queste letture, che "forzano" un Reed emotivamente allineato con le novelle narrate da Poe, finisce per essere fuorviante rispetto a "The Raven" (per non parlare dell'intera carriera di Reed). Da un lato e' fin troppo facile far notare come i temi tipicamente urbani del cantante mal si connettono con il mood del poeta-scrittore di Baltimora, certo sinistro ma non cosi' negativo e nichilista quale quello di Reed. Dall'altro e' piu' delicato osservare come "The Raven" sia si' un omaggio, ma non nel senso di un appiattimento del Reed "aspirante poeta" sul Poe "classico della letteratura", quanto piuttosto secondo i dettami di una riappropriazione e reinterpretazione da entertainer rock.

Solo cosi' diventa pienamente apprezzabile la progressione dei brani, dal rock quasi pacchiano che parla di Poe come di un vecchio amico ("Edgar Allan Poe") al cabaret che gli fa il paio ("Broadway Song", cantata dall'attore Steve Buscemi), fino alla ballata col cuore in mano di "Who Am I". Sempre attraverso il doppio filo conduttore che associa ad ogni brano un personaggio di Poe: un gioco letterario che permette al cantautore tanto di parlare in prima persona quanto di trasformarsi, di volta in volta, in Ligeia, Tripitena, Rowena.

Al termine di questo gioco di specchi, che travolge di input musicali e letterari, si trova poi la voce di Reed. Esaltata dall'accostamento con un accompagnamento cosi' fantasioso (per i suoi canoni), e stimolata da un materiale in un certo senso appartenente alla cultura "alta", la voce e' la protagonista di "The Raven". La capacita' di Reed di consegnare un testo all'ascoltatore attraverso una dizione che nulla ha del canto gli ha garantito un posto da intoccabile nella storia del rock. Con Reed il parlato e' diventa nobile come il canto, le minime modulazioni della voce divengono tavolozze melodiche dalla infinite' possiblita', ed il cantante rock diventa piu' narratore e meno urlatore.

"The Raven" presenta un Reed in forma strepitosa a livello vocale, e finisce per essere una autocelebrazione ben riuscita di questo immenso cantante, prima ancora che un esperimento musicale e poetico.

7/10