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RADIOHEAD

Pablo Honey
The Bends
OK Computer
Kid A
Amnesiac
Hail To The Thief (7/10)

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Hail To The Thief Capitol, 2003

by Lorenzo Casaccia ©

Nel 2003, i Radiohead sono ormai un mito autoreferenziale. L'importanza dei loro gesti artistici viene amplificata da una eco che contribuisce all'ingrandirsi dell'aura del gruppo, e cosi' via. Come ha scritto qualcuno, i Radiohead stanno diventando "The Only Band That Matters" come se le sorti del rock fossero tutte sulle loro spalle.

Troppo, sicuramente. E nel caso di questo disco l'onere che e' stato loro affibbiato ha purtroppo messo in secondo piano la natura crudamente politica del lavoro. Come molti recensori hanno opportunamente pensato bene di trascurare, "Hail To The Thief" ("Onore Al Ladro") altro non e' se non il beffardo saluto sotto il quale si riunivano gli oppositori di Bush dopo la farsa della sua elezione. E, parallelamente, il disco e' pervaso dalla paura dell'ineluttabile e dall'angoscia del presente (mi viene in mente il Waters di "Hanging on in quiet desperation is the English way"). A partire dalla copertina e nelle prime pagine vediamo un affresco-collage delle parole che definiscono la cultura americana ("Manzo", "Ciambelle", "Azionisti") mescolate a parole di guerra ("Paura", "Trincea", "Sicurezza", "Panico"), e ai titoli dei brani, il tutto esposto come in un immane cartellone pubblicitario.

Forse il disco vuole essere un po' il "Rattle And Hum" dei Radiohead, il loro disco "americano". Un disco concepito (appunto come gli U2 concepirono "Rattle And Hum") sulla scorta di un tour negli Stati Uniti che doveva consacrare il successo del gruppo e che diventa poi una occasione per guardare fuori da se stessi..

Per quanto riguarda la musica (ah si', la musica...), ancora una volta Nigel Godrich alla consolle mette a fuoco un suono che e' nebbia elettronico-ambient-chitarristica con una ossessione per le percussioni drammatiche. In fondo, una volta sentito "Kid A", non sarebbe nemmeno gran che. Come ho gia' avuto occasione di scrivere altrove, questa musica di fatto e' importante perche' traghetta suoni inconsueti verso una platea piu' ampia. Quando ci riesce, come in "We Suck Young Blood" o "2+2=5" (peraltro una replica compressa, seppur eccellente di "Paranoid Android"), allora raggiunge il proprio intento, Quando sprofonda nella normalita', come in "Go To Sleep", resta poco. A fare pendere nuovamente l'ago della bilancia verso i valori positivi c'e' la voce di Yorke, che ben presto bisognera' collocare tra quelle migliori del rock, discendente, nel suo essere sottile e sognante, di quella di Wyatt.

Resto pero' dubbioso sull'utilita' di soffermarsi troppo sulla musica, che si nutre di quell'alone mitico che ho gia' citato. Ci si doveva forse chiedere quanti, e chi, abbiano capito qualcosa delle parole evidenziate in stampatello nel primo brano:

It's The Devil's Way Now / There's No Way Out /
You Can Scream And You Can Shout / It Is Too Late Now /
Because /
You Have Not Been Paying Attention.

(Nondimeno, queste 14 tracce escono per la EMI, segno che il meccanismo non si sblocca, e' troppo ben oliato per non inghiottire immediatamente ogni manifestazione esterna ad esso, ecc. ecc. ecc.......)

7/10