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NINA NASTASIA

Dogs (1999) (7.5/10)
The Blackened Air (2002) (6.5/10)
Run To Ruin (2003) (6.5/10)

Nina Nastasia e' una talentuosa cantautrice che risiede a New York. Il suo e' un cantautorato malinconico arrangiato spesso con sparuti tocchi di archi e percussioni, e che si avvale della produzione deliziosa di Steve Albini.

Le sue canzoni migliori assorbono la dimensione piu' intima della costa orientale. Brevi bozzetti dalla scrittura intensa e lieve, ma arrangiati da una varieta' di colori ed emozioni, dall'ilare al macabro, dal privato al solare. Il suo debutto e' uno dei dischi piu' sottovalutati di quell'anno.

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Il debutto di Nina Nastasia arriva nel 1999, con Dogs, sulla piccolissima Socialist Records e rimane inosservato. Brilla gia' pero' il suo talento per il disegno di umori altalentanti, portato alla ribalta dalla produzione di Steve Albini. E' una voce in piena schizofrenia tra Liz Phair e Lisa Germano quella di "Oblivion". Fa arrossire d'invidia Heather Nova un brano come "Judy's In The Sandbox". Sembrano raccontare la storia del rock femminile le linee vocali di "Stormy Weather" e "A Love Song", impegnate in dialoghi immaginarii con se stesse, a tracciare percorsi poetici e sognanti.

E' anche un disco dove viene rispolverata l'arte dell'arrangiamento cui Albini garantisce un suono dall'asciuttezza quasi metafisica. (E tanto di cappello a una produzione che riesce a far realizzare a una debuttante un brano come "Smiley"). Basta pochissimo (una chitarra, un pianoforte appena sfiorato, un violino) a dare voce al genio.

 

Anche in The Blackened Air continua ad avere un che di Lisa Germano il contralto di Nina Nastasia. Ma poi c'e' molto di piu' tra le pieghe del suo folk da camera, arrangiato a meta' tra il quartetto d'archi e la musica da paese (fisarmonica, violoncello, violino, chitarra, sega e sezione ritimica). E' una galleria di impressioni emotive strutturate come un concept album, le une sfuggenti ed impalpabili, le altre improvvisamente illuminanti come epifanie joyciane. La loro sequenza va a tratteggiare i contorni di un Bildungsroman al femminile e anche in questo concepire il disco come sviluppo interiore della donna c'e' la traccia innegabile della Germano.

In The Blackened Air non si arriva alle vette degli spietati capolavori di quest'ultima, eppure rimane il valore delle canzoni, che si sciolgono una dopo l'altra attraverso i sogni, le realta' e le disillusioni della vita di coppia (ma bisogna leggere gli splendidi testi per cogliere l'evolversi della vicenda). C'e' il fantasma di Leonard Cohen nella scrittura delle prime due composizioni, "Run All You..." e "I Go With Him". L'umore della musica e' pero' leggermente mutevole lungo tutto il disco, senza mai snaturarne la personalita'. Si passa cosi' con naturalezza dal motivo arioso di "This Is What It Is" all'incedere funereo di "Oh My Stars", doppiato da un violino lamentoso, dalla melodia classicamente folk di "All For You" al falsetto alla Grant Lee Phlips di "So Little". Altrove fa invece capolino la Sheryl Crow piu' intima ("Rosemary"), o la Rebecca Moore piu' drammatica ("Ugly Face"), e sarebbe curioso sapere se le due si conoscano o frequentino in quel di New York.

 

Dopo nemmeno dodici mesi, la Nastasia torna con il breve Run To Ruin, dove gli arrangiamenti si fanno ancora piu' sparuti ed il colore ancora piu' nero. Si fa fatica ad immaginare che la funerea "We Never Talked" sia stata registrata nel giugno francese. A dispetto della prolificita', oggigiorno piu' di una volta irritante, Nastasia sembra non avere ancora esaurito tutti i modi in cui puo' modulare la propria voce. Il suo talento rimane immutato, dalle fioriture di "Regrets" all'elegia alla Hope Sandoval di "Superstar", ma mancano i brani veramente eclatanti. Albini provvede ancora una volta dalla consolle a trasfomare le pochissime note rimaste in un qualcosa di coeso.

La forma espressiva cui tende Nina Nastasia al momento e' una cantilena che affonda nel silenzio.

© Lorenzo Casaccia