RECENSIONI 2003 BREVI & LUNGHE

di Lorenzo Casaccia

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Carla Bruni - Quelqu'un M'a Dit (BMG)

No, davvero. Come si fa a recensire il disco di Carla Bruni restando seri?

E' la terza volta che esce un disco della modella che era leggendaria per essere un asso a suonare piano e chitarra ad orecchio. Solo che questa volta la BMG ci sta provando alla grande, e pazienza se Carla Bruni non sia assolutamente in grado di cantare (a tratti la cosa e' persino imbarazzante).

La registrazione e' opaca e fumosa, per rafforzare l'immagine da chanteuse, come se stesse suonando per noi in camera da letto (che poi e' l'obiettivo di tutto il disco). Inutile negare che a nessuno gliene frega niente delle canzoni. Immaginarsi questa supermodel algida in sottoveste mentre miagola in francese fara' vendere uno sfracello.

"Quelqu'un M'a Dit" non vende musica. Vende un sogno.

4/10

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Calla - Televise

I Calla sono il tipico gruppo coccolato dalla critica. Tempi medi, chitarre angolari, richiami tipicamente newyorkesi (qualche atmosfera alla Velvet, qualche pennata alla Television), una voce timida e sussurrata.

I referenti piu' moderni sono i Codeine (suonati al doppio della velocita'), e i Come, ma e' assente quell'affascinante lavorare per silenzi e sottrazioni che oggi ci fa ricordare i primi. Come va di moda dire oggi,

"Televise" e' un disco piu' di atmosfera che di sostanza: in altre parole il disco e' tutta produzione e le canzoni sono scarse. Quello che resta e' slow-core for the masses.

4.5/10

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Culper Ring - 355 (Neurot)

I Culper Ring sono un side-project di Kris Force (Amber Asylum), Mason Jones (Subarachnoid Space) e Steve Von Till (Neurosis, Tribes Of Neurot). "355" raccoglie otto tracce strumentali abbozzate tra il 1997 e il 2001 che si ispirano alla musica gotico-industriale degli anni '80 e ne trasferiscono i principi in brani dal respiro piu' ampio.

Nella "Track 1" (i brani sono senza titolo) le chitarre di Von Till e Jones disegnano dei raga indiani al rallentatore, mentre il violino di Jones improvvisa languide frasi da epica medievale. I gorgheggi di una eterea voce femminile avvicinano sorprendentemente il risultato finale alle suite dei Black Tape For A Blue Girl. Timidi rumorismi fanno virare la "Track 3" nella direzione della storica soundrack di "Dutch Harbour". Pur con qualche ingenuita', la "Track 5" conia una sorta di immagine speculare della new age: eterea ed in punta di plettro, ma cupa e tormentata. Le derive pastorali della "Track 6" sono il momento meno riuscito del disco. Nella "Track 8" i piani si ribaltano, e le voci filtrate cesellano un brano in stile Current 93.

L'effetto complessivo e' quello di un disco che non ha piu' molto a che vedere con il rock. Questa e' la musica di tre sciamani della trance, ma una trance oscura e vorticosa. Sara' un caso, ma come alla Projekt, anche alla Neurot qualcuno sta diventando un musicista serio.

6.5/10

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Evan Dando - Baby I'm Bored

Toh, Evan Dando... Ma dov'era finito?. Apparentemente adesso non fa piu' indie-pop e sembra un qualcosa a meta' tra Richard Thompson e Pedro The Lion, con canzoni di autocommiserazione e pentimento (c'e' persino del country).

Ad ascoltare "Baby I'm Bored" vengono in mente due cose:
1) Scommetto che quasi tutte le recensioni punteranno sulla storia passata di Dando: i Lemonheads, le Blake Babies, il sex-symbol, l'eroina. Brutto segno. Vuol dire che su questo disco che c'e' ben poco da dire.
2) Perche' intitolare un disco "mi annoio" e poi riempirlo di canzoni che prestano il fianco alle ironie piu' scontate?

4/10

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Dirty Three - She Has No Strings Apollo (Touch & Go)

Il nuovo disco dei Dirty Three e' pressoche' indistinguibile dal precedente, nei pregi e nei difetti. Perche' parlarne, quindi?

6/10

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Folk Implosion - The New Folk Implosion (BMG)

Those were the days. Fantastici quegli anni - sicuramente per qualcuno fantastici lo saranno - in cui si parlava di gente come Mascis, Barlow e Pollard e in cui Alternative Press era ancora una rivista seria.

Quegli anni sono passati, ma Lou Barlow e' tornato, con un disco programmaticamente intitolato "The New Folk Implosion", che infatti si lascia dietro le spalle le melodie da cameretta, il folk-pop che fa compagnia e, in fondo, il gusto di essere un giovane di belle speranze. I nuovi Folk Implosion abbracciano un suono piu' robusto, spezzandolo giusto con qualche retaggio semiacustico country-eggiante, e si rifanno, di fatto, alle mille band dell'indie-rock che facevano furore negli anni dei vecchi Folk Implosion.

Messa cosi', sembrerebbero i prodromi di una stroncatura. E invece no, perche' le canzoni ci sono, e Barlow le canta con un tono meno leggiadro, diremmo quasi piu' consapevole, certo piu' adulto. Qualcuno, come sempre, rimpiangera' i vecchi Folk Implosion, e lungi da noi sostenere che i nuovi sono all'altezza di quegli altri. Ma il disco e' onesto.

6.5/10

 

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Sea and Cake - One Bedroom (Thrill Jockey)

Ascoltare i Sea And Cake e' una esperienza gradevole e deprimente allo stesso tempo.

La prima impressione e' che non ci sia nulla fuori posto nell'indie-pop elegante di Sam Prekop. C'e' quella voce composta ed elegante. C'e' quel gusto per la melodia un po' nascosta che ti fa ancora sentire "indie". C'e' quel suono colto-elettronico che ti fa sentire un gradino sopra agli indie punkettari. Questa e' la parte gradevole.

Ma alla fine quest'attitudine da bravo ragazzo si ritorce contro lo stesso Prekop. Ad andare a scavare, infatti, le melodie sono tutte da buttare e le citazioni colte sono fuori tempo massimo di anni (Neu! e Stereolab stanno dietro a un po' tutte le tracce). Di fatto, questo disco e' tanto artificiale quanto quelli di MTV. Siccome lo stesso difetto lo accomuna a molto altro tristo indie-rock, questa e' la parte deprimente.

Questo disco non irrita piu' di tanto, ha quel che di carezzevole, e solletica la vanita' dell'ascoltatore con tutte le sue citazioni pseudo-colte. E' abbastanza cool che se lo metti ad una festa c'e' sicuramente qualcuno che dopo dieci secondi ti chiede "Cos'e'?". Ma prima ancora che tu abbia risposto, quello avra' gia' smesso di ascoltarlo.

5/10

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Smog - Supper (Drag City)

Disco che "entra" sottopelle, e che solleva Smog (se ce n'era bisogno) al di sopra della schiera dei molti colleghi. Callahan canta quasi distrattamente sopra ad arrangiamenti che mescolano il rock piu' vecchio stile ("Butterfleis Drowned In Wine") con il country della tradizione. Il lavoro da' il suo meglio nei brani in punta di plettro, come "My Anniversary'. Smog si esibisce in qualche numero piu' estemporaneo ("Driving"), dove il country si scioglie in un deliquio onirico, un po' come se fosse stato influenzato dai Jackie-O Motherfucker.

6.5/10

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Christian Wolff - Early Piano Music (Matchless)

Questo straordinario set e' composto da due dischi. Il primo contiene composizioni datate 1951-1959 per pianoforte solo, eseguite da John Tilbury. Il secondo contiene composizioni per due pianoforti e percussioni che risalgono agli anni tra il 1957 e il 1961, ed eseguite da Tilbury, Wolff stesso e dall'altro AMM Eddie Prevost.

Negli anni '50, Wolff era parte della cosidetta "scuola di New York", con Cage, Tudor e Feldman. Come i suoi colleghi, Wolff agiva al di fuori delle convenzioni musicali dell'epoca, mescolando i propri studi di classica con le intuizioni delle 'avanguardie del silenzio'. I brani di questi due CD trasformano in poesia sonora le tematiche tipicamente concettuali su cui si basavano gli sperimentatori newyorkesi.

Ogni brano nasce da un calcolo preciso, da una riflessione prettamente geometrico-matematica sulla sua struttura (quante battute, disposte in quale modo, quali patterni ritmici). Il risultato finale, che e' quello di un suono ostile e percussivo, e' solo la conseguenza di questa pianificazione. L'altra operazione a monte, quella di "preparare" il piano, inserendo oggetti tra le corde e modificandone la timbrica, puo' essere vista come un corollario alla prima.

Il primo disco si apre con composizioni relativamente meno compiute, dove l'influenza degli studi di Wolff su Webern e' ancora fresca. I quattro bozzetti di "For Prepared Piano" sono prove preparatorie, dove Wolff sembra scoprire le potenzialita' nascoste dello strumento, e indugia sul suono singolo. Sono forse i brani piu' ostici del lotto.

"For Piano I" e' appena dell'anno successivo, ma immensamente piu' espressivo. L'esecuzione di Tilbury si sofferma sui dettagli piu' contorti ed enigmatici. I grappoli di note alternati ad improvvisi silenzi, le cadenze sgembe ed una caratteristica insistenza sull'anticipare le note della sinistra rivelano un fondale melodico soffocato. Ci si perde a seguire questi dialoghi scherzosi che rapiscono l'attenzione.

La seconda meta' del primo CD raccoglie il materiale piu' maturo di Wolff, brani dove la ricerca concettuale nella strutturazione matematica delle composizioni fa il paio con la ricerca timbrica ottenuta "modificando" lo strumento. E' il caso dello splendido "For Piano II" e "For Pianist".

Il secondo disco mostra invece una sequenza di brani che richiedono piu' di un esecutore e dove l'aspetto percussivo diventa piu' prevalente. In "Duo For Pianist I", Wolff comincio' a sperimentare con l'aspetto notazionale delle composizioni. Per ogni intervallo di tempo l'autore indica soltanto un set di note (o suoni). Tali suoni possono essere eseguiti in qualsiasi momento all'interno dell'intervallo, lasciando idealmente massima liberta' all'esecutore. L'aspetto casuale e' da una parte controllato dall'esecuzione in duo (gli esecutori sono costretti ad ascoltarsi e ad interagire tra di loro), ed e' dall'altra rafforzato dal fatto che gli spartiti per i due esecutori sono simili ma non identici (le durate degli intervalli temporali differiscono).

"Duo For Pianist II" procede su questa strada con un maggior accento concettuale: gli esecutori questa volta si trovano ad eseguire intere frasi scelte a caso all'interno di un set dato, e di nuovo devono interagire l'uno con l'altro in modo corrispondente. "Duet I" replica la stessa idea su un pianoforte solo, suonato a quattro mani. Ne risulta un ascolto straniante se seguito con attenzione, in continua tensione tra la casualita' che il compositore vorrebbe imporre e l'istinto melodico degli esecutori. "Trio II" conclude egregiamente il secondo CD aggiungendo arrangiamenti (se cosi' si possono chiamare) di percussioni.

7.5/10

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