AFFINITA’ E DIVERGENZE NEL CONSEGUIMENTO DELLE TRE STELLE MICHELIN


Un viaggio culinario in Spagna

© 2000, Lorenzo Casaccia & Lele Sereno

 

Indice Gastronomia || Il Labirinto

 

Tre ristoranti in Spagna hanno l’onere di dover giustificare tre stelle Michelin ai palati degli appassionati della buona tavola. Due sono universalmente noti: Arzak a San Sebastian e El Bulli a Cala Montjoi. Il terzo, El Racò De Can Fabes, è (giustamente, si vedrà) meno rinomato. Nel corso del nostro recente viaggio in Catalogna, abbiamo avuto la possibilità di mettere a confronto gli ultimi due.

El Raco De Can Fabes si trova in un vecchio edificio nel centro di San Celoni. Questa è una bella cittadina medievale a 40 chilometri da Barcellona (lungo la A7, in direzione del confine con la Francia). All’entrata elegantissima e all’accoglienza impeccabile, purtroppo fanno seguito alcune pecche che non dovrebbero aver dimora in un tre stelle Michelin. E’ la stessa guida rossa, ad esempio, che suggerisce, tra i fatti rilevanti, gli interni del locale, i quali, in realtà, non hanno troppe pretese, connubio poco riuscito tra un rustico chalet di montagna ed un locale moderno e funzionale. L’attenzione per il particolare comunque c’è. Ne sono prova dei bagni con il sapone che piove da una ampolla attaccata a due perni, o il menu in pezzi unici numerati realizzati per l’occasione dal pittore spagnolo Antoni Tapies. Sull’altro piatto della bilancia, invece, due sale forse un po’ troppo affollate, con tavoli piuttosto ravvicinati e mancanza di divieto al fumo, camerieri che in genere non parlano inglese o francese, e servizio e coperto non inclusi nel prezzo.

Per la nostra cena, consumata accanto a una tavolata di “nuovi russi” cui l’educazione (ma non la voglia di fumare) faceva difetto, la scelta è stata tra un menù classico, che propone una antologia delle migliori creazioni di ogni anno, ed un menù che propone soltanto le novità dell’estate 2000. Noi abbiamo optato per il menù classico, introduzione quasi obbligata alla cucina di Santi Santamaria. Da una carta dei vini altrettanto elegante ed intelligente (sarà lo stesso per i superalcolici), abbiamo scelto un Marques de Alella Allier del ’96.

All’aperitivo, un classico calice di Cava (non alla temperatura ottimale), si accompagnano dei gradevoli stuzzichini con sanguinaccio di toro e crema di anguilla, una strepitosa crema di crostacei con uova di caviale, ed una gelatina di melone con prosciutto crudo, ed un uovo che emerge dal fondo. Il pane viene fatto scegliere da una ampia selezione presentata in un cesto, e si accompagna con dell’ottimo burro mantenuto tiepido in un apposito pentolino di rame.

I veri antipasti si aprono con la crema di pomodori alla menta con crostacei, di nuovo eccellente, che si accompagna a foglie di insalata con crostino di formaggio. A seguire un involtino di sgombro in foglia di castagno con ottimi peperoni al forno, e dei ravioli di gambo di fungo, i quali, molto saporiti, sono in gradevole contrasto con i piatti precedenti.

Si viene così introdotti al pesce fresco di giornata alle erbe aromatiche (nel nostro caso, salmone alla crema di carciofi) ed all’insignificante e pure un po’ banale capretto con verdure (che sostituisce il vitello, non più disponibile a causa – pare – della festa patronale di San Celoni). Forse è questo l’appunto principale che si va a rivolgere al Racò: quello di non cercare lo stupore e l’ammirazione del cliente ad ogni portata, come, vedremo poi, fa invece Adrià a El Bulli.

La parte conclusiva della cena vede il formaggio di capra su un tappeto di sfoglia con crostino aromatico; una selezione molto valida di tre sorbetti in un vassoietto apposito assai elegante; e palline di cioccolato caldo fondente con gelato al cocco servite con un vino (un Noè)  che lega a meraviglia con le sensazioni tropicali del cacao. Una crema di caramello anticipa la ricchissima piccola pasticceria che si accompagna al caffè, il quale arriva con degli splendidi tartufini.

Nel complesso, ci siamo chiesti già durante la cena più volte da dove derivasse questa conclamata eccellenza. La terza stella Michelin sembra essere stata elargita con troppa generosità.

A pochi chilometri dal confine francese, il viaggio verso El Bulli è un piccolo assaggio di Tour De France. Da Roses, località balneare, si sale per sette chilometri con un paesaggio da tappa pirenaica, accompagnati da sporadiche scritte in gesso rosso sulle rocce che confermano che la direzione è quella giusta. 

Sì apre poi Cala Montjoi, una piccola baia raccolta sulle cui pendici sorge la villa che ospita El Bulli. L’edificio si confonde benissimo con il paesaggio, il parcheggio è ampio, una terrazza con tavoli all’aperto si affaccia sul mare. Il personale è composto pressochè integralmente da giovani ancora in odore di scuola alberghiera, che si muovono comunque con competenza (parlano tutti – fatto non trascurabile – un buon inglese e francese) nelle belle e spaziose sale del ristorante. L’ambiente è curato ma senza eccessi. Sottopiatti di ceramica e rosa rossa su ogni tavolo. Caldi e confortevoli i bagni che ricordano quelli di un veliero (luce ocra, sciabordio delle onde da una finestrella sul mare): peccato per il sapone in un banale dispenser da supermercato.

Il menù degustazione accompagna per mano nella cucina di Adrià, un grande lavoro di studio e ricerca che porta a rielaborare la cucina mondiale. La tradizione giapponese, la tecnica francese e le materie prime italiane vengono assimilate, rielaborate, riproposte facendo collidere sapori consueti ed inconsueti e cercando la sorpresa del cliente ad ogni portata, che è poi quel che è dovuto in un ristorante che miri così alto. Ogni piatto è una tavolozza di sapori, dove noi siamo gli assaggiatori/pittori, e l’emozione definitiva si crea sulle nostre papille gustative. E’ questa la destrutturazione dei piatti, o meglio ancora la scomposizione dei sapori. Il patè di rape e soia, ad esempio, consta di due rondelle sovrapposte di crema. La prima (di soia) è salatissima, la seconda (di rape) è insipida. Gustate insieme si ha l’effetto voluto. Una cena da El Bulli è un manifesto alla libertà e alla non violenza (il coltello è bandito dal tavolo).

Ampia la carta dei vini, e aperta alle migliori etichette internazionali, da cui abbiamo potuto scegliere l’ultima bottiglia rimasta di Clos De L’Obac 1997, splendida. Il pasto si apre con una galleria di snack che accompagnano l’aperitivo (anche qui un Cava). Si va da un superbo Gin Fizz coperto di spuma calda, ad una grandiosa alga cristallizzata che sa di mare fino ad un delizioso cornetto wasabi con caviale di trota e tuorlo d’uovo mignon in cima. Si passa anche per cose meno convincenti, come la “philo-pizza”, una scaglia sottilissima che sa di pizzetta Catarì o le noccioline e i semi di girasole al cioccolato. Per alcuni snack la fruizione è guidata: è il caso della caramella allo yogurt ripiena di yogurt, o della fragola al Campari, dopo la quale si chiede di non bere per un minuto: il tempo da lasciare alle erbe ed al fizz di sprigionare il loro retrogusto ed effetto in coda al sapore della fragola.

Le tapas raggiungono subito una vetta di eccellenza con il melone in gelatina (come a El Racò!), cui fanno contorno piccole nuvole di spuma d’uovo, ciascuna aromatizzata da un’erba diversa (menta, aneto, ecc.) e che nascondono una mandorla bianca; proseguono con il già citato patè di rape e soia con succo d’arancia, con un cous-cous alle erbe e culminano con degli strepitosi asparagi con montagnette di parmigiano, omaggio alle tradizioni italiane; queste ultime nascondono un cubetto di gelatina al limone: l’effetto congiunto dei tre sapori – scorporati nel piatto – è stupefacente.

Tra le portate seguenti, sicuramente provocatorio (e discutibile) il brodo in gelatina con ciuffi di purea, spinaci crudi e prosciutto cotto, che ci riportava con la memoria alla mensa dell’asilo; difficile e non convincente il coniglio con gelatina di mela e zucchero caramellato. Entusiasmano di nuovo invece l’elegante rielaborazione giapponese del budino di alghe con cirripedi ed emulsione di thè, ed il piatto di raccordo con i dolci che consiste di purea alla vaniglia su uno strato di uovo sbattuto.

Un Moscatel Emilin Lustau, offerto dalla giovane sommelier, accompagna il gelato alla birra con lampone e scaglie di yogurt, ed il gelato al cioccolato amaro in polvere (aspetto di polvere di cioccolato e consistenza del gelato) con gelatina al lime e wasabi, accostamento ardito ma perfettamente riuscito. La piccola pasticceria è fantasiosa, dal gelato al lampone allo spiedino di ananas alla menta, al mais ricoperto di cioccolato.


E’ difficile accostare e comparare due filosofie della cucina così diverse, come quella di Santi Santamaria e quella di Ferran Adrià. Nondimeno, viene spontaneo chiedersi come le varie guide possano mettere sullo stesso piano i due ristoranti. Se le lodi che piovono su Adrià sono sicuramente meritate, non altrettanto si può dire di El Racò.

Senza nulla togliere alla validità intrinseca di quest’ultimo, comunque un ottimo ristorante tradizionale, la distanza nella nostra memoria è incommensurabile

 

El Racò De Ca Fabes

Carrer St. Joan, 6

08470 Sant Celoni

Catalunya

tel: 93 867 28 51

menù degustazione: 13950 pesetas (circa 153000 lire)

 

El Bulli

Cala Montjoi, ap. 30

17480 Roses

Girona

tel: 972 150 717

menù degustazione: 14700 pesetas (circa 162000 lire)