IL 2002 IN RASSEGNA
Pensieri e parole in ordine casuale
sull'annata musicale
di Lorenzo Casaccia ©
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(Nota di Febbraio 2003: ho aggiunto il disco di The Streets in testa alla mia playlist solo nel 2003, prima di scrivere questo commento, che quindi non considera quel lavoro)
DELLA TRANSIZIONE DEI GENERI
Non credo che sia solo una mia impressione. Nel 2002 il
rock mainstream ha "assorbito" molta della musica indipendente piu'
di quanto fosse avvenuto negli ultimi anni,
Sicuramente molti appassionati tradiranno un sorriso di soddisfazione a vedere
che nomi come White Stripes, Jeff Tweedy, Sonic Youth o Dirty Vegas ora colorano
le pagine delle riviste piu' commerciali. Io sono piu' dubbioso, perche' spesso
quello e' il momento in cui viene fatta una sorta di terra bruciata ed un genere
finisce per perdere ogni tipo di propulsione creativa.
Facciamo un esempio. Una volta gente come le riot grrrl,
per non dire tutta una scena underground femminile/femminista aveva
un senso, sociale/culturale ancor prima che musicale. Poi sono venute prima
Alanis Morissette e poi Avril Lavigne, e tutta questa frangia dell'indie di
dieci anni fa, come tale, oggi non ha piu' senso di esistere.
Badate, a me Avril sta pure simpatica (tra l'altro ho letto articoli che la
definivano "skatepunk": credevo che skatepunk fossero Henry Rollins
e Ian McKaye).
La provocazione (spinta all'estremo) e': dieci anni fa la Lavigne sarebbe uscita
per la Kill Rock Stars, oggi invece e' in heavy rotation su MTV e Radio
Deejay. Il risultato e' chei la Kill Rock Stars nel 2002 non fa che imitare
un nome di MTV (volontariamente o meno, non importa) vendendo pero' un millesimo
delle copie.
Idem per un sacco di gruppi alt.county. Una volta erano, appunto, "alternative"
a un qualche mainstream. Ora il mainstream sono loro: Ryan Adams e' un
personaggio da copertina, essendo riuscito a fare in due dischi quello che Joe
Henry cerca di fare da sei-sette. I Wilco hanno sfondato con la loro
onesta raccolta di brani country-pop, appena spruzzata da qualche rumorismo
di O'Rourke. E' stata un po' la glorificazione del genere, la cima della piramide
costruita mattone dopo mattone da Lucinda Williams e dagli Uncle Tupelo.
Certo, la Williams non sara' mai Shania Twain e Jeff Tweedy non sara' mai Garth
Brooks, ma il salto di categoria per il genere ormai e' fatto. E quando senti
un disco nuovo di qualche debuttante non puoi fare a meno di chiederti se quelli
che suonano non stiano semplicemente sperando di piazzare il colpaccio. Altro
che spirito dei padri fondatori...
LA NU NEW WAVE ()
L'epoca del post-rock e' finita da un po': ragazzi, si faccia
avanti chi vuole sentire ancora un altro disco degli Shipping News.
Come in tutte le fasi di transizione della storia del rock, anche in questa
si guarda al passato. Ne sta venendo (ne e' venuto) fuori un ripescaggio della
new wave, dove "new wave" puo' voler dire veramente di tutto.
Il filone Strokes, White Stripes, Yeah
Yeah Yeahs, Raptures, Lo-Hi, eccetera (ma Alternative Press di Dicembre
ha tirato fuori un'altra mezza dozzina di nomi) tutto sommato non e' da buttare
via: magari c'e' qualcuno che parte da li' e finisce con l'ascoltare "Marquee
Moon". Meglio che niente.
C'e' da vedere quanto possano durare questi gruppi. Fossi in loro mi scioglierei
per evitare di finire come gli ex-divi del brit pop, corteggiati da qualche
rivista a caccia di tardive mitologizzazioni: c'e' giusto Mojo che riesce ancora
a fare una recensione di una pagina del disco degli Oasis immaginando che siano
un gruppo di portata mondiale (recensione esilarante, fra l'altro - da leggere
assolutamente).
Tornando ai gruppi succitati.....I White Stripes hanno gia' spremuto tutto lo
spremibile, dal colore dei vestiti ai gossip sulle relazioni pericolose/incestuose,
portandosi a casa persino il premio per il miglior video dell'anno ai VMA (!).
Gli Yeah Yeah Yeahs hanno come vantaggio una cantante donna su cui gia' sono
state costruite leggende inenarrabili. Gli Strokes per ora si fanno fotografare
con amiche che sembrano modelle e modelle che fingono di essere amiche, quindi
sono quelli che stanno meglio di tutti. Possono pero' fare uscire un secondo
disco di canzoni uguali a "Last Nite"?
(E l'epifania assoluta dell'anno e' stata sentire una cover band qualsiasi a
Nizza che ha agganciato "Last Nite" e "Lust For Life" mostrando
a quelli ancora sobri tra gli astanti come il plagio fosse totale - per la serie
il re e' nudo).
Sulla loro scia quest'anno si sono messi gli Interpol, che copiano invece i Joy Division. Serviva veramente una band che copiasse i Joy Division??
Per i piu' raffinati, "new wave" vuole invece dire Fall e Pop Group.
E' il caso di gruppi come Xiu Xiu e Gogogo Airheart. Ricevono
meno attenzione ma ne meritano di piu': soprattutto i Gogogo, mi verrebbe da
dire, visto che sono quasi miei vicini di casa. Ma per evitare un conflitto
di interessi la taglio corto.
Da ultimo ho lasciato i miei preferiti, gli El Guapo,
per i quali "new wave" vuol dire fare
un mix apocalittico tra i Pere Ubu del primo disco e i Faust, con anche qualcosa
di Mark Stewart e dei Devo.
Una musica che e' indescrivibile, nel senso letterale della parola, perche'
gioca con accostamenti emozionali inediti. Un delirio tecnologico che per certi
versi suona alieno come era alieno il primo disco degli Slint.
LE MIE DELUSIONI CON L'INDIE ROCK
A parte il "new wave revival", il 2002 ha anche
visto la solita (da qualche anno a questa parte) massa di uscite di rock indipendente:
valanghe di dischi di post-rock, emo-core, neo-folk, alt.country e pseudo-indie
rock.
A dispetto di quanto si legge su molte riviste, e a dispetto di quanto amano
leggere gli appassionati, la qualita' media di queste uscite e' veramente mediocre.
Ci sono le ovvie eccezioni (le litanie dei Low su tutti), ma ormai ci
si sta abituando al fatto che, tra collaborazioni, side-project e cazzate varie,
un artista indipendente fa uscire 2-3 dischi all'anno sotto denominazioni diverse.
Troppi. (Per dirne una, penso a Tara Jane O'Neil che mi sta costringendo
a rimangiarmi le lodi che avevo speso su di lei).
Quel che e' peggio, mi pare che sia aumentato il livello di piattume all'interno
dei dischi stessi e non solo tra un disco e l'altro. Sempre piu' spesso si sentono
dischi di rock indipendente dove tutte le canzoni suonano identiche tra di loro,
segno evidente di uno scarsissimo sforzo di elaborazione e di una folle fretta
di pubblicare il lavoro. E' ormai possibile scrivere la recensione di un numero
impressionante di dischi praticamente gia' a meta' ascolto (tanto i pezzi sono
tutti identici e sentito uno li hai sentiti tutti).
Chi e' cresciuto come ascoltatore con il post-rock fatichera' forse a rendersi
conto di questo, ma basta risentirsi qualche classico della storia del rock
per afferrare il concetto.
Per contrasto, persino i primi due singoli di Avril Lavigne hanno un
minimo di varieta' (ne hanno parecchia, per la verita'), sicuramente piu' di
due canzoni a caso di uno dei mille dischi di Will Oldham.
La motivazione per far uscire tutti questi dischi non sono le vendite (un disco
indipendente vende pochissimo). Sono i tour. Se fai uscire un disco nuovo, i
club americani ti ingaggiano e puoi fare un serie di concerti coast to coast
e mettere da parte i soldi per pagare l'affitto 3-4 mesi.
Ecco che allora uno da' fondo a tutti gli scarti del disco precedente e pubblica
qualcosa, tanto un critico che gli da' 7/10 o 8/10 si trova sempre.
Kid 606 e' l'epitome di tutto cio,' avendo fatto uscire veramente di
tutto, dalle parodie di Kylie Minogue e Timbaland (belle), ai duetti con Dalek
(potabili), fino alle copiature di Eno/Fennesz (pessime).
Ricordo di aver letto un commento di Piero Scaruffi sulla questione (da qui):
Di dischi dei Backstreet Boys ne esce uno ogni due anni. Di dischi dei Sun City Girls ne esce uno al mese. Si stanno capovolgendo i valori: i Sun City Girls erano miei eroi della musica indipendente negli anni '80, ma adesso stanno diventando l'emblema di pessima qualita`, che e` forse un fatto peggiore della musica di consumo.
C'e` arte e c'e` consumo, cosi` come in tutte le arti ma adesso c'e` anche qualcosa di difficile da definire: il duemillesimo disco dei Sun City Girls e`arte? No. E` consumo? Certamente no. E allora cos'e`?
In realta' non sono troppo d'accordo con l'ultima affermazione.
Secondo me l'ennesimo disco dei Sun City Girls (o di chi per essi) e' commercio,
cosi' come sono commercio l'ennesima uscita di alt.country, neo-folk, glitch
e post-rock.
E' un commercio diretto a un pubblico di nicchia, che compra il disco a prescindere,
che ama sentirsi raccontare quello che sa gia' e che ha un attaccamento
alla presunta "scena" ben piu' viscerale di quello dei fan dei Backstreet
Boys (i quali almeno sanno che e' intrattenimento, i fan di ogni sotto-scena
indie si ostinano a chiamarla arte).
E' difficile emanciparsi da questa catena alimentare: nemmeno The Wire ce la
fa (ci sono recensioni di Brotzmann e Ab Baars praticamente a ogni numero -
anche loro fanno un disco ogni due mesi, ma almeno i loro capolavori li hanno
fatti).
PER FORTUNA CHE...
A dispetto del paragrafo precedente, i dischi buoni continuano ad esistere (solo che trovarli richiede un sacco di fatica). Tra i tanti, ad esempio, mi piace spendere due parole in piu' su Sleater-Kinney e Black Heart Procession. Per entrambi puo' valere un discorso in un certo senso parallelo: sono gruppi che sono "cresciuti", in tutti i sensi.
I Black Heart Procession continuano ad inseguire
il fantasma di Nick Cave: adesso sono arrivati a "The Good Son" (e
quindi c'e' un po' di Sudamerica). Siccome a me "The Good Son" piace
enormemente (e non sono d'accordo con l'interpretazione di Cave data da Daniela
Cascella su Blow Up/Jukebox All'Idrogeno), anche "Amore Del Tropico"
mi e' sembrato piu' che degno.
Fra l'altro e' un disco che si specchia nel discorso precedente dell'iperproduttivita':
per una volta un gruppo ha avuto uno studio a disposizione, un minimo di tempo
e non troppa fretta, e ne e' uscito qualcosa di buono.
Le Sleater Kinney, dal canto loro, sono cresciute:
da ragazzine a donne, da punkettes a Rolling Stones in gonnella (ma forse
si incazzerebbero a sentirselo dire). E' loro il trono lasciato vacante dalla
concorrenza, in primis da Kathleen Hannah (Le Tigre non hanno abbastamza spessore,
se spogliate di tutti i significanti sociopolitici)
Per fortuna appunto che ci sono Tucker e Brownstein... Degnissime scudiere delle
Sleater-Kinney sono le Bangs. Perdermi il live
congiunto di Sleater-Kinney, The Bangs e Shannon Wright e' il rimpianto (musicale)
numero uno dell'anno.
Poi ci sarebbero pure gli Oneida: un disco doppio con una meta' che e' una Sister Ray nell'heavy psych e un'altra meta' che e' ferocia pura. Me l'ha fatto comprare Stefano Bianchi di Blow Up promettendomi di ridarmi i soldi se non mi piaceva. L'ho appena aperto e devo ancora digerirlo. Per ora ho solo capito che chiede di essere suonato a palla.
IN MANCANZA D'ALTRO...
Abbiamo detto che siamo in una fase di transizione: non
e' un caso che molte riviste, anche indipendenti, abbiano puntato molto sui
nomi "vecchi". L'anno scorso era stata la volta di Dylan. Quest'anno
c'era piu' scelta, e cosi' abbiamo letto molte pagine su Springsteen,
Waits, Gabriel, Sonic Youth, Suicide, persino sui
Rolling Stones. Tutta gente grandissima (ognuno con almeno un mezzo capolavoro
all'attivo), ma che musicalmente ha gia' detto quel che aveva da dire (ne' ci
si potrebbe aspettare diversamente).
Ma in mancanza d'altro...
Sono state eccezioni rilevanti Lisa Germano e i Black Tape For A Blue Girl, che pero' in realta' non valgono perche' lo status di classici ce l'hanno solo presso una cerchia ristrettissima di persone, soprattutto la Germano, sempre piu' apocalittica, sempre piu' cupa, sempre piu' una via di mezzo tra Trent Reznor e Joni Mitchell.
OMISSIONI
Due cose che da "lettore" mi sarebbe piaciuto leggere: una intervista che provocasse i Godspeed You! Black Emperor sui temi "politici" attorno ai quali hanno giocato il disco nuovo (mea culpa per non averla fatta io stesso...), e qualche parola in piu' sulla Thirsty Ear (mea culpa per non averle spese io stesso...).
Per quanto riguarda i GBYE!, il loro disco era uno
dei piu' attesi dell'anno (questa e' una frase-clichet che ho copiato da almeno
2-3 riviste). Poche delle recensioni si sono pero' domandate
1) Che senso avesse un disco "politico" interamente strumentale, dove
il messaggio si concretizza in quattro note di copertina
2) Che valore avessero effettivamente quelle provocazioni politiche
La mia recensione
(quello che penso sta scritto li') molto umilmente ha poi finito per essere
analoga a quella pubblicata da Pitchfork,
pero' mi sembrava valesse la pena dedicarci ancora qualche parola nella rassegna
di fine anno.
Per quanto riguarda la Thirsty Ear, "Amassed" degli Spring Heel
Jack e "Optometry" di DJ Spooky sono due dei dischi
migliori dell'anno, jazzy, elettronici e psichedelici, un coraggioso ponte
tra il trip hop e il jazz d'avanguardia, con il piano di Matthew Shipp a fare
da chioccia a tutti.
E' mancato un bell'articolo sull'argomento, ma forse, per una volta, i musicisti
stanno battendo una strada che pochi critici riescono a seguire.
L'ELETTRONICA (TRA LA TRANCE E L'ELECTROCLASH)
Thirsty Ear a parte, l'elettronica mi sembra il genere
che piu' soffre dell'ansia di produrre dischi su dischi (ma sono aperto a commenti
che mi facciano cambiare idea).
La jungle e' estinta (ormai da un sacco), il garage/two-step non e' mai veramente
stato un genere, il downtempo e' in una impasse creativa.
(E le avvisaglie della crisi si sentivano gia' da un po', se pensiamo che il
disco migliore di elettronica uscito ultimamente era stato "Discovery"
dei Daft Punk, che era geniale soprattutto se inteso come gioco all'interno
della dance, una sorta di riflessione/divertissement/elucubrazione di un genere
in collasso su se stesso).
Come conseguenza, le riviste di settore si sono dovute gettare a pesce su quel
che rimaneva.
Da un lato la trance ed i "DJ Superstar" (su cui torno piu'
sotto), parodistici fin che si vuole ma che almeno fanno vendere due copie.
Dall'altro l'electroclash: Chicks On Speed, Adult, Fischerspooner &
Gigolo Records. Divertenti e spassosi, ma in fondo una scatola vuota (per ora)
perche' manca loro il background sociale, l'entusiasmo di persone che
fanno di quello una ragione di vita (come e' stato per la house, il garage,
la jungle).
D'altronde quando comprai per la prima volta un disco delle Chicks On Speed
anni fa, quello non era "electroclash", un nome ed una scena creati
or ora ad arte e che hanno attecchito proprio perche' la mancanza di altro aveva
creato un vuoto da riempire (vedi quest'articolo
di Simon Reynolds).
Di passata, lo vedo trascuratissimo in Italia questo aspetto del mondo sociale
della musica e dietro alla musica, soprattutto per quanto riguarda l'elettronica
(Edoardo Bridda mi pare tra i pochi a tirarlo fuori).
LA DEF JUX...
L'hip hop e' il genere che appare piu' in forma, forse proprio
perche' alle sue nuove tendenze corrisponde invece una sottocultura, una base
di fans e di persone che si rispecchiano realmente nelle parole di EL-P
(siccome l'Italia e New York sono diversissime e' difficile rendersene conto).
L'ascesa della Def Jux e' continuata ripetendo lo stesso pattern del 2001: un
nome di grido e uno a seguire. L'anno scorso avevamo avuto Cannibal Ox e Aesop
Rock. Quest'anno EL-P e Mr. Lif.
L'hip hop di EL-P, spaziale, allucinato, bianco/nero e newyorkese come non mai,
e' tra le cose piu' entusiasmanti dell'anno. Il disco di Mr. Lif non mi e' piaciuto
molto ma a leggere i giudizi altrui mi sto convincendo a riascoltarlo.
...E IL RESTO DELL'HIP HOP
La mia predilezione per la Def Jux e' dovuta in buona misura alle liriche. In
fondo l'hip hop era ed e' una sorta di CNN underground: sentire un disco di
hip hop senza valutarne le liriche ha tanta coerenza quanto giudicare i primi
dischi di De Andre' o De Gregori senza guardare ai testi. Vallo a spiegare ai
recensori delle riviste italiane...
(Eccezione: un articolo coraggioso di Alessia D'Artino su Eminem).
La Def Jux mi sta simpatica anche perche' non fa uscire troppi dischi. Lo stesso
non si puo' dire per il giro Anticon, una cricca di neo-hippies molto
piu' divertente dal vivo che su disco che pero' ha ormai all'attivo piu' uscite
in pochi anni di quelle che Bob Dylan ha fatto in trentacinque.
C'e' un filo conduttore tra EL-P, la Anticon ed il
redivivo Eminem (ora anche attore, e apparentemente pure bravo): e' quello
dell'interiorita' - e scusate se vuol dire andare a ribattere ancora sulle liriche.
Le riviste italiane bisticciano spesso con l'inglese quindi ce lo stiamo perdendo
un po', ma il passaggio dell'hip hop da forma di protesta "pubblico/sociale"
a veicolo espressivo "privato/interiore" e' quasi epocale.
Il passaggio sta avvenendo sia a livello underground (con i nomi citati sopra),
che a livello mainstream, grazie al tanto chiacchierato ingresso dell'ecstasy
nel mondo della musica nera americana.
Ci siamo dentro, a questo passaggio, quindi per ora e' difficile capirne la
portata, ma rendersene conto e' gia' qualcosa.
Andarsi a cercare un po' di testi di EL-P o della Anticon su qualche archivio
online certamente aiuta.
Per chiudere, in testa alle mie preferenze ci sono i N.E.R.D., che altri
non sono se non i Neptunes, produttori di grido e cesellatori dei beats
per tante star, da Britney Spears a Justin Timberlake.
Non ci trovo nulla di aberrante: anche Steve Albini ha prodotto Page & Plant
quando ha inciso "At Action Park".
IL RESTYLING DELLE STAR
Le cose che mi divertono di piu' del rock non sono quei
quattro dischi di post-rock mal copiati. Sono le star che cercano di rifarsi
una immagine piu' "fresca" con un arsenale di marketing e pubblicita'
degni della Nike.
Sheryl Crow e' il primo esempio che mi viene in mente per quest'anno.
Dopo anni di gavetta a fare la corista di Michael Jackson, la Crow e' riuscita
a sfondare negli anni '90. Ce l'ha fatta con una manciata di ballate mid-tempo
tra il country e l'hard rock con non erano nemmeno male (grazie soprattutto
alla produzione di Tchad Blake). E ce l'ha fatta con dei testi e con un suono
che facevano molto Los Angeles e molto America.
Poi gli anni sono passati uno dopo l'altro e le idee (musicali) sono finite.
Per "C'mon c'mon" Sheryl si e' quindi affidata ad un make-up veramente
massiccio e ne sono venute fuori una manciata di foto sulla spiaggia che la
fanno sembrare una ventenne in vacanza. E poi il surf. Diomio, in tutte le interviste
e persino nel video a menarcela con questa storia che adesso si e' messa a fare
surf.
Pieta'.
Giusto a ruota viene Puff Daddy, uno che merita una menzione solo per
il fatto di far uscire un disco intitolato "Noi abbiamo inventato il remix"
cambiando anche nome in P.Diddy.
Capiamo il problema, capiamo che sono tempi duri, capiamo che Jennifer Lopez
non c'e' piu', ma francamente questo era davvero troppo.
Tra l'altro la mia stroncatura del suo "We Invented The Remix" e'
stata pure censurata dalla rivista che me l'aveva commissionata - per timore
di qualche pallottola in puro hip hop style?
PAUL OAKENFOLD E I "SUPERSTAR DJ"
La cosa dei superstar DJ, che impazza negli States, e' tra i fenomeni dell'anno
ma mi e' rimasta di brutto sullo stomaco.
Comincia tutto quando trovo nella cassetta della posta il numero di Novembre
di "URB". In teoria, "URB" dovrebbe essere la miglior rivista
di elettronica d'America. In pratica, in copertina c'era Paul Oakenfold
con una espressione da James Bond e la scritta "Oakenfold rules!".
Decisamente troppo.
Una volta (anni e anni fa) Oakenfold era un DJ serio. Poi, quando era gia' discretamente
famoso, ha deciso di prendere la strada dei soldi. E non i-soldi-nel-senso-delle-solite-quattro-lire,
bensi' i dollaroni a carrettate.
La dance e' esplosa negli USA nel formato della trance (sostanzialmente,
dance commerciale), e con dieci anni di ritardo gli americani hanno scoperto
i rave nel deserto e l'ecstasy. Quelli piu' furbi, come Oakenfold o il suo degno
alter-ego femminile Sandra Collins (ma nel mucchio ci sono anche Sasha,
John Digweed e Christopher Lawrence) hanno capito come girava e sono passati
alla cassa, diventando le rock-star del caso e sfornando un disco raffazzonato
dopo l'altro.
DJ come rock-star, come dire, esattamente una negazione di tutta la sottocultura
dance/elettronica/DJ.
Il tutto condito da Oakenfold che si dimena sul palco come se stesse veramente
suonando, da battage pubblicitari faraonici, e dal ridicolissimo "Bunkka",
un disco cosi' brutto che tutti i recensori in giro per il mondo hanno dovuto
arrampicarsi sui vetri per poter scrivere che il disco era una pena pur dandogli
almeno 7/10.
Massimo rispetto a Christian Zingales che su Blow Up ha scritto piu' o meno
queste stesse cose e gli ha rifilato zero.
BRITNEY SPEARS IN VACANZA PER 6 MESI
Che anno poteva essere senza dire due parole su Britney
Spears?
Britney e' uno dei massimi fenomeni socioculturali
del presente, per cui non e' un paradosso il fatto che la sua decisione di prendere
sei mesi di vacanza faccia notizia.
Ci sono mille Britney: c'e' quella degli show per famiglie, quella in versione
lap dancer dei video, quella che risponde alle interviste continuando
a dire "hey man" per far vedere che e' cresciuta, e c'e' quella di
"Crossroads", un film che e' una galleria di allusioni da corso di
semiotica. Ci sono mille Britney, ma ogni versione racconta un pezzetto di America.
Simon Reynolds, dal suo sito, in un commento
dello scorso anno diceva:
But watching the orgiastic sweat-stippled video ("I'm A Slave 4 U") the first time I had this involuntary reaction (no, not what you're thinking), on the lines of: "hmm, the Taliban have kind of got a point, haven't they?" I mean, what kind of a culture have we built here that pimps our teenage daughters so shamelessly/shamefully?
Britney e' la teenager-tipo. La teenager tipo e' Britney-like.
Britney e' Laura Palmer.
Anche su questo varrebbe la pena di ritornare.
UN ANNO DI RIVISTE DI MUSICA
E' stato un annus horribilis per le riviste di musica.
"Puncture" ha chiuso.
"Rolling Stone", che tutto sommato prima si barcamenava tra N'Sync
e Springsteen, Mogwai e Coolio, adesso e' ufficialmente un tabloid (il nuovo
direttore ne dirigeva uno prima di assumere l'incarico).
Sicuramente i megaservizi (con foto) su Asia Argento e Jennifer Love Hewitt
fanno vendere come Max e GQ. Ma se pensiamo che in fondo Rolling Stone "era"
(ed e') la critica rock che conoscono tutti a livello "mondiale",
beh non c'e' da stare allegri.
Ad essere sincero molte delle riviste indipendenti non sembrano
molto piu' in forma (certo, con qualche eccezione). A rifletterci, le uniche
differenze sono sostanzialmente:
1) le marchette non vengono fatte alle major ma alle indie (quelle che se le
possono permettere) o ai distributori di indie
2) i collaboratori scrivono molto peggio
Ovviamente tutto cio' non e' scevro da conseguenze.
Il punto (1) si traduce sostanzialmente in un gioco di "io ti permetto
di intervistare Tizio e tu lo metti in copertina" ove la qualita' del disco
di Tizio diventa un dettaglio irrilevante.
Basta tenere gli occhi aperti per accorgesene. E' un fenomeno che in Italia
imperversa, piu' di quanto uno possa immaginare (ecco perche' la rivista X mette
in copertina Tizio un mese prima di tutte le altre).
Il punto (2) porta con se' l'effetto gravissimo che e' molto piu' piacevole
leggere un articolo di Rolling Stone su Avril Lavigne scritto da Jenny Eliscu
(per citare una giovanissima) piuttosto che un saggio su un classico del rock
pubblicato su di una rivista indipendente.
Qualcuno potra' rispondere che il lettore medio delle riviste di musica non
legge ne' Joyce ne' Proust e si accontenta di poco. Ahime' forse e' vero.
Internet sta un po' cambiando le carte in tavola, soprattutto
in America, mettendo pressione alle riviste cartacee. Ormai sono diversi i siti
di recensioni on-line. Il loro vantaggio strategico e' quello di essere quasi
sempre in anticipo sulla concorrenza su carta. L'atto di "correre in edicola"
per leggere com'e' il nuovo disco dei Radiohead ha sempre meno senso: basta
andare online e sapere l'inglese.
Di conseguenza, dalla rivista ormai ci si attende un qualcosa in piu': una analisi,
un approfondimento, una opinione anche "scomoda". Anche queste sono
cose che si possono trovare benissimo online, ma almeno non "invecchiano"
cosi' in fretta come una recensione.
In Italia questo processo e' rallentato dal fatto che la
penetrazione dei computer e' decisamente bassa e troppe poche persone conoscono
l'inglese (inoltre negli Stati Uniti la telefonata per collegarsi a Internet
e' gratis). Siccome su queste cose siamo destinati inevitabilmente ad imitare
gli americani, mi aspetto che fenomeni simili avvengano anche da noi.
In piu', in Italia (come in tutti i paesi piccoli) la stampa musicale indipendente
e' sostanzialmente volontariato, quindi non c'e' alcun motivo per cui la qualita'
di quanto appare sulle riviste sia piu' alta di quella delle webzine (siccome
le riviste pagano poco o nulla hanno un controllo molto limitato sulla qualita'
dei contenuti). Si risparmiano pure degli alberi.
Anche in questo caso, staremo a vedere.
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